Ha più diritto lo stato a concedere la cittadinanza o il richiedente a richiederla?

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La cittadinanza è principalmente una prerogativa dello Stato, che ha il diritto sovrano di stabilire chi può diventare cittadino e a quali condizioni. Lo Stato, in quanto istituzione con il compito di preservare il proprio ordine giuridico e sociale, ha l'autorità di decidere chi può essere incluso nella sua comunità politica. In questo senso, la concessione della cittadinanza non è un diritto inalienabile del richiedente, ma una concessione che lo Stato può fare sulla base di criteri che ritiene appropriati.

D'altra parte, in alcune interpretazioni giuridiche e sociali più recenti, specialmente in contesti democratici e globalizzati, si sostiene che gli individui abbiano un diritto legittimo a richiedere la cittadinanza, soprattutto quando soddisfano criteri oggettivi, come il legame di residenza o il contributo alla società. Tuttavia, anche in questo caso, il diritto di richiedere non equivale automaticamente al diritto di ottenere, poiché lo Stato mantiene comunque la discrezionalità nel concederla o rifiutarla.

Il diritto del richiedente a ottenere la cittadinanza è dunque subordinato alle leggi e ai criteri stabiliti dallo Stato, e il riconoscimento della cittadinanza rimane un atto sovrano. Nei contesti democratici moderni, esistono tuttavia pressioni sociali e giuridiche affinché gli Stati applichino questi criteri in modo trasparente, non arbitrario e in conformità ai diritti umani. Pur rimanendo lo Stato in una posizione di maggiore autorità, la concessione della cittadinanza può essere influenzata da principi di equità e inclusività. Questo riconoscimento dei diritti del richiedente è particolarmente rilevante in situazioni specifiche, come nel caso di rifugiati, apolidi o persone che hanno legami forti con lo Stato, ad esempio per lunga residenza o vincoli familiari, ma non toglie allo Stato il potere di determinare chi ne fa parte.

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